Urbanistica, politica, transizione …

Riceviamo da Stefano Serafini e volentieri vi giriamo: …

“La lotta del Gruppo Salingaros e dei suoi amici, primi fra tutti AVOE e Civicarch, contro la dissoluzione delle città in periferie, è stata anticipata negli Stati Uniti da un’ampia frangia di contestatori di alto livello: professori universitari, ricercatori, teorici dell’architettura.

Nel cuore dell’impero l’impatto è infatti giunto prima e su scala assai più vasta che da noi, per cui si può asserire che il popolo americano è il primo testimone-vittima del sistema che gli USA hanno contributo a diffondere in tutto il mondo.

La situazione migliore dell’Europa si deve anche alla resilienza di una cultura – fatta soprattutto di architettura e urbanistica pre-moderne – che la seconda guerra mondiale e il dopoguerra non sono riusciti a demolire del tutto: da noi alcune città, piccoli centri, corsi e piazze resistono ancora (da qui il pellegrinaggio continuo di studiosi e istituzioni statunitensi presso le città d’Europa, per impararne una via di salvezza). Ma per quanto ancora? Ogni giorno un pezzo ulteriore di quella cultura viene abbattuto: basta la costruzione di un centro commerciale per uccidere decine di piazze; di un monumento archistar per spegnere la vita di un quartiere. Basta la deformazione del nostro senso del’armonia in estetica del consumo, ad opera di una filosofia architettonica dichiaratamente sadiana (ad es. il decostruttivismo) al servizio di mercati colossali che dominano i media. Basta che enti di servizio dedichino le proprie risorse all’immagine, come ad es. certi Comuni con la cartellonistica a pagamento sopra i più bei monumenti d’Italia, o le Ferrovie dello Stato con le sue centinaia di schermi pubblicitari posizionati in tutte le stazioni del Paese, perché l’iperreale invada finanche gli ultimi ritagli civili di spazio e di tempo.

E’ assolutamente chiaro oltre Atlantico – assai meno in Europa e in Italia, dove appunto solo noi muoviamo una critica scientifica così diretta – che il problema urbanistico e architettonico ha un’immediata valenza politica. E tale crisi politica esemplificata dalla devastazione dello spazio civile, prima ancora di quello ecologico (“entropia resa visibile” dice J. H. Kunstler), è strettamente legata alla fine del sogno illuministico, trasformatosi in incubo nichilista.

Il nostro compito va perciò ben oltre il dibattito architettonico; e anche oltre il modo ormai inadeguato di concepire la politica adottato sino ad oggi. Dobbiamo raccogliere di nuovo la sfida addormentata della filosofia e delle scienze europee, qui, dove tutto è cominciato. E’ per questo che abbiamo fondato la Società Internazionale di Biourbanistica, volendone la sede principale a Roma, e ci rivolgiamo ai cittadini e agli esperti di tutte le discipline per un lavoro collettivo di rifondazione epistemologica, per rinnovare visioni, spazio, etica, politica, scienza, civiltà.

Nell’invitarvi a collaborare, innanzitutto visitando i nostri siti http://www.biourbanism.org e http://www.biourbanistica.org offriamo qui sotto alcuni “spot” americani sull’argomento spazio urbano e politica. Mostrano un’analisi semplice e concreta; non vi troverete Focuault né Lefebvre, ma un messaggio immediato dal quale cominciare ad articolare un discorso più elaborato e necessario.
S.S.

La fine delle periferie. Il consumo del petrolio e il collasso del sogno americano (trailer in inglese)

Fuga dalle periferie. Dopo il sogno americano (trailer in inglese)

La tragedia delle periferie. Conferenza di James H. Kunstler (in inglese)

Built to Last. La visione del New Urbanism (in inglese)

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Dr. Stefano Serafini
Direttore Gruppo Salìngaros
http://www.grupposalingaros.net
Direttore ricerche Società Internazionale di Biourbanistica
http://www.biourbanism.org
stefano.serafini@biourbanism.org
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22 risposte a Urbanistica, politica, transizione …

  1. filippo de dominicis ha detto:

    Jane Jacobs, Death and life of great american cities

  2. isabella guarini ha detto:

    Sembrava che la questione della periferia e dei suoi guasti fosse ormai acquisita dalla cultura architettonica, dopo la crisi dell’economia industriale e la non crescita dell’espansione urbana. A tale crisi sembrava dovesse imporsi incontestabilmente la tradizione della città storica italiana ed europea. Invece, è avvenuto l’imponderabile, ovvero l’affermarsi della crescita urbana in altezza secondo il modello preistorico del monolite, grattacieli, grandi contenitori, privi di struttura urbana. Naturalmente ciò è causato dall’economia post-industriale globale, che infilza i suoi pali da conquistadores in tutto il pianeta.
    Ed è ancora l’America a indicarci il cambio di sistema. Dopo aver imposto i modelli periferici sull’onda dell’urbanistica da consumo. Ma noi, antichi abitanti di città compatte, lo sapevamo già!

    • Stefano Serafini ha detto:

      Ricordo lo shock, quando lessi (per ragioni anagrafiche solo pochi anni fa) un testo di Baudrillard sui grattacieli di Manhattan scritto nel 1976. Nella conformazione di questi falli del capitalismo rampante, egli spiega il costituirsi del capitalismo segnico – quello di Bretton Woods e della fine del tallone aureo, delle valute basate su altre valute, del segno che rimanda unicamente ad altri segni – e trova la loro rappresentazione perfetta – un vero simbolo universale – nelle Twin Towers: due grattacieli che non gareggiano più in altezza, ma si equivalgono e si specchiano identiche l’una nell’altra.

      Non devo essere stato l’unico a leggere quel brano in ritardo, visto il casino del 2001. O forse davvero la storia – o la Restaurazione – è congelata da un cinquantennio e più. Ma il ritardo della classe ladresco-amministrativa d’Italia, che promuove oggi l’erezione di pseudo rendita urbana verticale, qua dove bene o male tutto comincia, è effettivamente un segno di eccesso barocco nell’ironia del destino…

  3. maurizio gabrielli ha detto:

    E’ il Capitalismo, bellezza !

  4. isabella guarini ha detto:

    Quando visitai per la prima volta la Garisenda in Bologna, ormai molti anni fa, rimasi molto colpita da una icona antica posta nei pressi della scsla d’accesso alla torre. Era rappresentata una città turrita, non circondata da torri, ma costituita da torri che svettavano, tra cui era quasi impossibile distinguere la struttura urbana. Infatti, le ricerche storiche del Gozzadini hanno rivelato che nel Medio Evo la città di Bologna aveva circa 180 torri,che rappresentavano il prestigio e il potere di chi le costruiva, una Manhattan ante litteram. Il paragone fu immediato, ma non mi piaceva pensare che una nostra città, antica e urbanisticamente esemplare, potesse essere indicata ai costruttori di grattacieli. Mi rassicurai pensando che il tempo aveva ben lavorato, facendo sopravvivere solo qualche esemplare irripetibile.
    Dante ricorda la torre Garisenda nel canto XXXI dell’Inferno, vv. 136–141
    “Qual pare a riguardar la Garisenda
    sotto ‘l chinato, quando un nuvol vada
    sovr’essa sì, che ella incontro penda;

    tal parve Anteo a me che stava a bada
    di vederlo chinare, e fu tal ora
    ch’i’ avrei voluto ir per altra strada.”

  5. pi ha detto:

    Ho mandato al sito dei biourbanisti questo messaggio:

    Egregi biourbanisti,
    ha senso oggi in Italia battersi per una pianificazione urbanistica migliore, per un’architettura più adeguata ai nostri bisogni, insomma per una città diversa e più civile, senza porsi neanche una domanda sul perché è stato possibile che da ormai vent’anni (vent’anni!) siamo sotto il potere di un autentico bandito (bandito in senso letterale, in America sarebbe in galera da molto tempo) che ha ridotto l’Italia, moralmente e civilmente, ad una fogna? Non credete che, ignorando questa questione basilare, in fondo ci meritiamo (vi meritate) lo sfacelo che ci circonda?

  6. LdS ha detto:

    “Le alte e vane torri, come ogni architettura fuori scala rispetto alla misura umana, danneggiano gravemente non soltanto l’economia (come si è visto a Dubai e in Grecia), ma la società stessa, la salute dei cittadini, e la loro libertà politica.” (1)

    Gentile Serafini, mi faccia capire… questa, secondo lei, sarebbe scienza? Parliamo terra-terra (non son filosofo). Spero che lei sia d’accordo con me che gli USA sono la più antica e stabile democrazia dell’Occidente. Ci hanno dato, non a caso, una mano non indifferente per liberarci dal nazifascismo e per impedire che il comunismo sovietico avesse la meglio. Sembra… dico sembra… perchè magari so’ ignorante… che il grattacielo sia stato inventato proprio in America (più di un secolo fa) e ne è diventato il suo simbolo, e anche il nostro per l’intero secolo, opss! Pardon! Per gran parte dell’incubo nichilista: le Twin Towers erano le nostre torri civiche (due, perfettamente identiche, perchè ti danno la possibilità di scegliere, come si conviene ad una società democratica e relativista). Ora lei vorrebbe farmi credere, non so in base a quale ragionamento scientifico che “le alte vane torri” danneggiano la salute e la libertà dei cittadini?
    Per cortesia, parliamo di città, parliamo pure di ambiente, di sostenibilità, di città compatte e di densificazione (concetti apparsi da noi negli anni’ 90 anche se pensate di esser gli unici a conoscerli) ma per favore… lasciamo perdere ipotesi fantascientifiche che bastano sì e no due righe per demolirle.

    Francamente, dopo le invariantine zeviane e il sol dell’avvenire di qualche testo filo modernista anni ’60, sostituire il tutto con le “scalette universali” e con discorsi pseudo-scientifici camuffati da rifondazioni epistemologiche non mi sembra un gran baratto.

    Robert

    (1) parte di uno scritto di Serafini

  7. memmo54 ha detto:

    Sarà mica che sia il “sogno della ragione”, piuttosto che il “sonno”, a genarare mostri ?

    Saluto

  8. pietro pagliardini ha detto:

    Caro LdS, esistono persone che pensano di essere stati i primi a scoprire qualcosa ed esistono persone che passano il tempo a dire che quella cosa era già stata inventata prima da altri. Tu appartieni decisamente alla seconda.
    Si dà il caso che non è necessario essere i primi a pensare qualcosa ma essere pronti capire che è venuto il momento, la fase storica, la necessità di utilizzare quel qualcosa per la società. E magari chi capisce questa cosa la spiega, la racconta, la sostiene.
    Te invece ci ricordi sempre che l’hanno già inventata, sembra perfino che tu l’approvi, ad esempio la densificazione, ma te la prendi con chi ne parla.
    Ma la cultura è anche lotta per affermare le proprie idee, anche di quelle eventualmente mutuate da altri. Chi può dire, d’altronde, di non essere debitore a qualcuno prima di lui delle proprie conoscenze e delle proprie scoperte! Se a te non interessa sostenere un’idea non sei obbligato a farlo, ma per quale motivo, se la condividi, la devi attaccare?
    Questo sì che è puro nichilismo, nel senso letterale del termine. Tu hai superato già tutto, come ogni buon intellettuale italiano. Sei sempre oltre, ma le città restano con il culo per terra. Come mai? Te lo dico io: perchè avete intentato tutto ma avete continuato a fare le stesse cose. Naturalmente “avete” è solo una formula retorica che mi sembrava efficace per il caso. Non ti accuso di avere fatto danni.
    A proposito, la densificazione non l’hanno inventata negli anni ’90 (naturalmente allo IUAV di Venezia dove hanno inventato già tutto ma mi deve essere sfuggita l’applicazione), l’hanno inventata nel 1200. O forse no, già a Roma parlavano di qualcosa di simile.
    Ciao
    Pietro

  9. Stefano Serafini ha detto:

    Caro Robert,

    una frase estrapolata da un discorso sul rapporto tra urbanistica e politica è un po’ poco per giudicare – anche perché non riguarda quello di cui parlo sopra, e che non mi sembra lei discuta nella sostanza. Non entro nel merito del ruolo degli USA per le sorti magnifiche e progressive dell’Occidente. Sul modello storico dei grattacieli però una nota gliela devo: non di torri civiche si tratta, ma di zigurrat, atti di hybris come la biblica Babele, altrettanto sterili e dannosi.

    L’approccio scientifico (contrapposto a ideologico/estetico) è innanzitutto una questione epistemologica, perché sottintende una critica alla categorizzazione del mondo che precede e permette la sua distruzione (saremo stati anche salvati dal nazifascismo, dal comunismo e dagli alieni, ma la salute generale dell’economia, della pace del mondo, delle risorse naturali non mi pare stia molto meglio rispetto agli anni ’20).

    Sulla scelta “democratica” fra due prodotti identici, che dire? Sono d’accordo con la sua analisi. Contento lei.

    Infine sull’insalubrità delle torri e di certe forme architettoniche e urbanistiche le porgo qui sotto un po’ di bibliografia. Non è completa perché non ho molto tempo, però di lei mi dicono che è giovane e desideroso di studiare, e rendendosi conto che dagli anni ’90 in avanti si sono fatti diversi passi avanti, potrà approfondire in biblioteca. Ricordando che non basta che una cosa sia attuale per essere valida: occorre innanzitutto sapere unire i puntini (ah, l’epistemologia…).

    Cordiali saluti,

    StS

    Nikos Salingaros, Twelve Lectures on Architecture. Algorithmic Sustainable Design, Umbau Verlag, 2010

    Christopher Alexander, The Nature of Order, 4 voll., Berkeley, Ca., Center for Environmental Structure, 2002-2005

    Sandro Galea – David Vlahov (cur.), Handbook of Urban Health: Population, Methods and Practice, New York, Springer Science – Business Media, 2005

    Stephen R. Kellert, Building for Life: Designing and Understanding the Human-Nature Connection, Washington, Island Press, 2005

    John Rose (cur.), Human Stress and the Environmen: Health Aspects, Philadelphia, Gordon and Breach Science Publ., 1994

    Vernon Riley – Mary Anne Fitzmaurice – Darrell H. Spackman, «Psychoneuroimmunologic Factors in Neoplasia. Studies in animals», in: Robert Ader (cur.) Psychoneuroimmunology, New York, Academic Press, 1981

    Gordon H. Orians – Judith H. Heerwagen, «Evolved Responses to Landscapes», in Jerome H. Barkow – Leda Cosmides – John Tooby, The Adapted Mind, New York, Oxford University Press, 1992, pp. 555-579

    Howard Frumkin, «Beyond Toxicity: Human Health and the Natural Environment», American Journal of Preventive Medicine, 20 (2001), pp. 234-240

    Grant Hildebrand, Origins of architectural pleasure, Berkeley, Ca., University of California Press, 1999

    Noa Benaroya-Milshtein – Alan Apter – Isaac Yaniv – Toba Kukulansky – Nava Raz -Yael Haberman – Hila Halpert – Chaim G. Pick – Nurit Hollander, «Environmental enrichment augments the efficacy of idiotype vaccination for B-cell lymphoma», Journal of immunotherapy, 30 (2007) 5, pp. 517-522

    Andrew Crompton, «Scaling in a Suburban Street», Environment and Planning B: Planning and Design, 32 (2005) 2, pp. 191-197

    Frances E. Kuo, William C. Sullivan «Aggression and Violence in the Inner City. Effects of Environment via Mental Fatigue», Environment and Behavior, Vol. 33 (2001) 4, pp. 543-571

    Anche per i non filosofi raccomando il vecchio:

    Jean Baudrillard, L’échange symbolique et la mort, Paris, Gallimard, 1976

  10. Outsider ha detto:

    LdS, ci credono così tanto in quello che dicono che sul sito chiedono anche DONAZIONI (quasi li invidio)

    Cito:
    “Poiché le nostre risorse sono sempre troppo limitate rispetto al lavoro da compiere, ogni contributo è d’importanza vitale. Le donazioni permanenti sono particolarmente preziose perchè ci permettono di abbattere i costi amministrativi e di pianificare meglio il nostro lavoro nel tempo.”

    Ben fatto Serafini! Wanna Marchi accetterà di essere la vostra Biotestimonial!!!

  11. Stefano Serafini ha detto:

    Tu puoi contare su Papy, Outsider trading…? Noi no. Però i nostri testimonial sono gli studiosi del Board con i quali lavoriamo a titolo gratuito, faticando ma divertendoci. Tu continua a guardare la tv.

  12. Rosencrantz ha detto:

    Senza perdersi in vane discussioni alimentate da chi della polemica ha fatto un movimento, non può che far sorridere la perenne arroganza dei “nuovi urbanisti” che, anche in questa occasione, si atteggiano ad educatori.
    Non discuto dei principi, se si vuole parzialmente anche condivisibili, ma parlo dell’insopportabile presunzione che vede i “nuovi passatisti” come gli accademici depositari di una verità assoluta. La nobile missione è quella di aprire gli occhi di noi comuni mortali: lo fanno ieraticamente, senza concedere spazio al confronto, perchè sono loro i docenti, professori che a volte non sono tali in Italia perchè l’Università del Bel Paese è troppo ottusa per comprendere il loro reale valore, per citare Mazzola. Eccoli allora pronti a consigliare bibliografie, a rispolverare testi classici nella presunzione di rifugiarsi dietro una cultura che, si badi bene, non è condivisione ma solamente ostentazione.
    Grazie al cielo l’Europa (quella vera, non quella della “visione” tagliaventiana) non è l’America, qui i fanatismi da scientologia abbiamo imparato a percepirli nell’aria prima che faccian danno, a dispetto degli stadi neoclassici in pieno centro o delle tangenziali tramutate in boulevard alberati…
    Mi permetto di aggiungere alla bibliografia consigliata un testo: Utopia, di Tommaso Moro, preoccupantemente somigliante all’ideale della “visione”. Comprendo però che non ci sarà il tempo di rileggerlo da parte di chi replicherà a quanto scrivo, meglio annichilire il mio pensiero con disprezzo ma si sa, anch’io come il resto del mondo vado educato!

  13. LdS ha detto:

    La ringrazio Serafini per la bibliografia ma penso che non avrò tempo da dedicarci ragion per cui le consiglio di non perdere il suo tempo prezioso per cercar di istruirmi, lo usi per scopi assai più importanti per l’umanità… Io invece le lascio qualcosa di più facile, assai più breve e non deve spendere denaro per acquistarlo. Non ne condivido la forma ma la sostanza sì. L’unico problema è dato dal fatto che se non si conosce l’architettura a fondo si rischia di fraintendere lo scritto o non capirci nulla ma, ne sono certo, non è il suo caso:

    https://archiwatch.wordpress.com/2009/11/05/nikos-frattali-e-puntarelle/

    Pietro, ho capito ben poco di quello che hai scritto, mi spiace

    Out, anch’io li invidio un po’, esser convinti delle proprie balle è il primo passo che si deve fare per cercare di venderle a qualcuno. Il problema è che ormai il supermercato delle piccole verità soggettive che tentano di assurgere a fondamento del mondo si sta sempre di più ampliando, oramai la babele è totale, toccherà chiamare il Codacons.

    Robert

  14. Stefano Serafini ha detto:

    Il tono saccente è permesso solo a voi, e uno deve chinare la testa al titolo di Architetto? Dov’è la vostra condivisione dell’architettura? Si sparge sulle sudate carte dalle quali sono usciti i 70 anni di meraviglie che ci circondano? Quanto alla nostra condivizione: i nostri seminari sono aperti e gratuiti (a nostre spese). Naturalmente Robert e Rosencrantz sono invitati, così potranno rendersi conto di persona che i loro pregiudizi sono un tantino fuori luogo.

    Un solo esempio per controbattere all’ironia sui nostri “non professori”:

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/20/le-univerista-italiane-non-lo-ritengono-idoneo-lui-vola-in-scozia-e-diventa-docente-ordinario/51757/

    Questo invece è il nostro board (in fondo):

    http://www.biourbanism.org/journal-of-biourbanism/

    Una nota, Robert: lei è convinto delle sue, di balle?

  15. Stefano Serafini ha detto:

    Comunque è meraviglioso: non una parola sul thread, elegantemente glissato da livore personalistico e di bassa lega. E saremmo noi quelli che della polemica farebbero professione…

  16. Outsider ha detto:

    Serafini, come qualcuno ha giustamente sottolineato, inutile che continuo con la mia polemica… quello che dovevo dire l’ho detto, i fatti parlano per se.

    Solo una precisazione: non ci sono sempre papy che mantengono e donazioni da elemosinare. Qualcuno in Italia si mantiene con i guadagni del LAVORO che fa, concetto troppo banale per un filosofo, immagino…

  17. Stefano Serafini ha detto:

    :-D il lavoro che mantiene la ricerca, i fatti che parlano, e le donazioni elemosinate, nell’Outsider Repubblica delle Banane. E meno male che Paypal non rende, sennò a qualcuno veniva la cirrosi epatica. Vabbè, lasciamo perdere. Qui dalla mancata discussione sulla multidisciplinarietà si scivola direttamente nelle discipline psichiatriche. In fondo è l’aria che tira sul Paese.

  18. giancarlo galassi ha detto:

    Sperando di non sabotare il thread riprendo qui un’osservazione di ieri di Riccardo Del Plato (post Bilbao) che mi sembra individui anche a mio parere uno dei nodi del problema: la mancanza di istruzione artistico-architettonica che si sente nella nostra gente. Le nostre città dal dopoguerra in poi sono cresciute con lo stile economico della palazzina, dimenticando la naturale evoluzione degli stili, del gusto, della tecnologia ». Prendo a pretesto queste parole per un paio di osservazioni, una generale e una specificatamente architettonica. Restate avvertiti che la pedanteria fiocca.

    Anche Ravasi nella sua conferenza (non ricordo se l’ho annotato o meno) indicava nell’assenza di cultura Estetica dei giovani delle nostre periferie un degrado umano che va ad alimentare il degrado del contesto architettonico.

    L’Estetica cui si riferiva Ravasi non è però mera educazione artistica ‘al gusto e agli stili’ e purtroppo posso testimoniare di aver sentito più volte utilizzare proprio in questo senso la parola Estetica dal non-proprio-giovane professore titolare di questa cattedra alla Facoltà di omissis di omissis (e per compassione non lascio il link del dibattito televisivo dove interviene quale dotto esperto in materia e pubblicato nel web a onta anche della Facoltà che l’ha nominato).

    Quindi se anche a livello u-ni-ver-si-ta-rio quel compimento della ragione nella sua organicità, affidato filosoficamente da più di duecento anni al problema estetico (mica un giorno), viene comodamente semplificato a problema da estetisti, perchè stupirsi se i politici e con loro la ‘nostra gente’ che li elegge applaude a soluzioni dottignorantiste?

    Sullo specifico disciplinare.
    Non credo che la ‘palazzina’ si possa escludere dal processo di evoluzione della residenza contemporanea. Il suo problema è che non è arrivata (non-ancora oppure non-può-proprio arrivarci?) a essere un tipo urbano vero e proprio rimanendo irrisolto (o irresolubile) il problema del tessuto che determina, anzi che non determina affatto.

    Questo il New Urbanism mi sembra non l’abbia colto fino in fondo1 perseguendo per Roma un modello ancora alla Gustavo Giovannoni (almeno a detta di Krier).
    Ciò non gli fa onore perché non sembra considerare che da Giovannoni sono già derivate (e sono ormai da superare) teorie della città molto più moderne e razionali riferibili alle scuole prima di Roma, poi di Venezia e poi anche Milano (ma Milano è un segreto e non lo dite a nessuno), lezioni che hanno ormai una cinquantina d’anni alle spalle.
    Allo stesso tempo c’è da auspicarsi sinceramente che vengano considerate ‘cun grano salis’ le programmazioni neuro linguistiche (come si fa a non vedere l’inganno comunicativo!) del guru americano di turno.

    Magari mi fossero sufficienti a dimostrazione dell’imbarazzante superficialità di fondo le belle idee da Krier presentate tra sconfortanti scrosci di applausi nel suo intervento al convegno sul futuro di Roma (dal minuto 2’30”).
    Mancano le immagini ma sostanzialmente venivano sistemate con arredo urbano le aree di risulta tra le palazzine esistenti del quartiere Parioli per presentarle ristrutturate quali architetture intorno piazze all’italiana (sic!). Quello che mi preme notare è che lo pseudotessuto e gli spazi urbani risultanti non sono molto differenti da quelli proposti ex novo a Tor Bella Monaca.

    Trovo la relazione di Krier esemplare per la malintesa cultura (sembrano citazioni da studente del primo anno) con cui viene spacciata l’operazione newurbanismoide tanto né politici né la ‘nostra gente’ sa dargli il giusto valore intellettuale: proprio quel pittoresco Piano Regolatore del 1931, impressionistico e giovannoneo evocato nella conferenza con un certo disdoro snob da Krier appare palesemente in trasparenza nella nuova confusione dottignorantesca di Tor Bella Monaca.

    NOTA
    1 Prima che parta l’integralismo contraddicente ammetto, cari newurbanismisti, che a sbagliare sono io e vi dico: costruite pure i vostri benedetti quartieri ma lasciate stare i quartieri di proprietà pubblica almeno finché la stessa amministrazione che li gestisce e che finge di volerli demolire per motivi sociali non vi ha attivato una seria manutenzione che abbia cura dei parchi, delle strade, delle autorimesse, dei citofoni, degli ascensori, dei vani scala, dei pianerottoli…
    E’ impossibile? Sono edifici ingestibili?
    Dobbiamo credere che costi meno buttarli giù e farne di nuovi che avranno comunque bisogno di manutenzione dei parchi, delle strade, delle autorimesse, dei citofoni, degli ascensori, dei vani scala, dei pianerottoli…
    O l’unica differenza la fa quel capitale privato che potrà costruire nuove cubature in una zona oggi egregiamente servita da servizi pubblici con un progetto che fornisce agli amministratori in carica l’immagine giusta, forte abbastanza per rilanciarsi verso un secondo mandato.
    Probabile che chiudere buche non dia abbastanza visibilità.
    Qualcuno ricordi a qualcun’altro che quando c’era lui i treni arrivavano in orario e forse si può passare alla storia di Roma come colui che tiene puliti i muri dai graffiti.
    Nel 2020 si dirà: quando c’era lui i citofoni suonavano.

  19. Stefano Serafini ha detto:

    Oh, finalmente Galassi. Chapeau, e non soltanto perché ha molta ragione.

    Io desideravo riferirmi al problema dello sprawl in generale, e alla struttura economica che ovviamente lo sostiene. Il New Urbanism è una soluzione americana, e portarla di peso in Italia può valere soltanto come provocazione (da qui la goffaggine alla quale lei giustamente si riferisce). Ma lo scopo è affrontare il problema urbanistico da un punto di vista globale, diciamo così, extradisciplinare. In Europa, il lavoro di Mike Batty, per es.

    Sulla questione dell’estetica e della sua origine contemporanea alla scienza galileiana mi piacerebbe discuterne davanti a un caffè, come ho fatto con Sergio Los qualche mese fa. Sono certo che ne trarrei lo stesso piacere.

    Cordialmente

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